Essere felici è un’abitudine, essere tristi è un’abitudine: la scelta è nostra»: ha concluso con questo detto Alberto Cancian il suo intervento con i giovani dell’Azione Cattolica di Barco e Pravisdomini. Un incontro dai molti spunti quello con il giovane di Roveredo, che ha portato il racconto delle sue esperienze nel mondo a ragazzi e adulti. Viaggi nei quali ha voluto conoscere culture diverse, in cui è stato messo alla prova anche a livello di salute, ma che lo hanno arricchito notevolmente, avvicinandolo alla felicità, una felicità contagiosa che sente il bisogno di diffondere.

I primi viaggi di Alberto hanno avuto come meta la Colombia, in una missione dove operava padre Bruno Del Piero, roveredano come Alberto: da un desiderio d’infanzia di conoscere queste terre ne è nato poi un lavoro, dato che è stato incaricato di scrivere un libro riguardante la storia della missione, con racconti e testimonianze. Proprio qui ha ricevuto un primo insegnamento di vita, vedendo i missionari che operavano in terre lontane (non solo in ambito religioso, ma anche sociale, medico, scolastico) senza chiedere nulla in cambio, per il semplice gusto di farlo. Come padre Bruno, che si svegliava alle 4.30 del mattino per andare a trovare i malati in ospedale e poi proseguire l’attività in parrocchia. E così anche il sorriso di un bambino scalzo e con la maglia bucata ha provocato in lui una riflessione e cioè che non dobbiamo far dipendere la nostra felicità dai beni materiali, ma da ciò che abbiamo dentro e che possiamo anche sviluppare in noi.

E come si può trovare la chiave per questo? Secondo Alberto sta nella parola “amore”: proprio questo dovrebbe guidarci nella vita. Per costruire qualcosa dobbiamo essere guidati dall’amore: non riferendoci solo a grandi progetti, ma anche nelle piccole attività quotidiane della vita.
Dopo la Colombia, Alberto è andato alla scoperta dell’Asia, con un viaggio che ha toccato diversi Paesi e culture. E tra le varie “cartoline” che Alberto si è portato a casa c’è sicuramente quella del giorno di Pasqua. Alla ricerca di una chiesa dove poter partecipare alla Messa, si è imbattuto in un tempio protestante. Al termine del rito ha incontrato anche dei musulmani e un indù. E l’incontro è stato festoso e all’insegna del dialogo, quello che spesso manca anche a noi, nei nostri rapporti quotidiani. Il dialogo: una componente fondamentale che Alberto ha visto valorizzato in quell’incontro e che è la chiave in tutti i rapporti che abbiamo.

Infine l’avventura che lo ha portato al campo base dell’Everest, a 5.225 metri d’altezza: un sogno che si è avverato, conquistato a piccoli passi. Proprio quei piccoli passi che ognuno di noi può compiere per avvicinare i propri sogni e – come ha invitato Alberto – ad “andare a prenderceli".

 

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